Le camere CCD

LA STORIA ED IL FUNZIONAMENTO

Dopo l'invenzione del telescopio agli inizi del XVII secolo e della fotografia verso la metà del XIX, il CCD è sicuramente una delle invenzioni più rivoluzionarie che la scienza abbia messo a disposizione dell'astronomia. Oggi tutti gli osservatori professionali dispongono di queste moderne camere per le loro attività di ricerca e, grazie alla loro notevole commerciabilità, quasi tutti gli osservatori astronomici amatoriali possiedono questi sensori digitali per le loro osservazioni.
Il CCD (acronimo inglese di Charge Coupled Device, dispositivo ad accoppiamento di carica) è una speciale fotocamera elettronica il cui cuore è costituito da una piastrina di silicio sensibile alla luce. Gli inventori, W.S.Boyle e G.E.Smith nell'aprile del 1970, erano scienziati impegnati (presso i Laboratori Bell in New Jersey, USA) nella ricerca di nuovi metodi di acquisizione d'immagini tramite cristalli di silicio.
Già dal 1972 si iniziarono a costruire i primi sensori ad uso astronomico, ad opera soprattutto del Jet Propulsion Laboratory della NASA e della Texas Instruments. Le prime immagini CCD risalgono al 1975 e furono riprese al Catalina Observatory di Tucson (Arizona, USA).
Un sensore CCD è formato essenzialmente da una matrice di elementi fotosensibili, chiamati pixel, di dimensioni variabili e di forma quadrata o rettangolare, disposti a scacchiera sulla superficie di un cristallo di silicio opportunamente trattato ed integrato in un dispositivo denominato chip.
Ogni pixel, quando viene colpito dai fotoni luminosi, produce e conserva elettroni in maniera proporzionale alla quantità di luce ricevuta. Al termine del processo di esposizione, questi elettroni (o cariche elettriche) vengono accuratamente misurati riga per riga e trasferiti ad un circuito dove il segnale elettrico viene amplificato e campionato, ovvero digitalizzato e convertito in sistema binario, affinché possa essere letto da un computer. La conversione dell'immagine viene eseguita da un convertitore A/D (Analogico/Digitale) che può essere sia interno sia esterno alla camera stessa. I convertitori si distinguono tra di loro per la precisione con cui riescono a campionare le immagini: questa precisione si misura in bit.
Convertitori a 8 bit permettono una gamma di 256 (2 elevato all'ottava potenza) toni di grigio (bianco e nero inclusi), mentre convertitori da 16 bit permettono 65.536 toni di grigio. La scelta del convertitore dipende dalla dinamica del sensore stesso, ma di questo se ne parlerà in seguito.
Le dimensioni del sensore influenzano il campo inquadrato, mentre le dimensioni dei singoli pixel influenzano la risoluzione e la sensibilità.
I CCD possiedono delle classi di qualità, a seconda del numero di imperfezioni presenti. Infatti è molto difficile riuscire a creare camere CCD prive di difetti, specie su sensori a grande campo. Le classi sono numerate progressivamente dalla 0 (sensori pressochè perfetti) alla 3 (sensori con 2-3 colonne rovinate e diverse decine di pixel malfunzionanti).

CARATTERISTICHE

In questa sezione cercheremo brevemente di scoprire le caratteristiche di un CCD e le sue differenze rispetto alla pellicola fotografica, ormai in disuso, analizzando brevemente gli enormi vantaggi che questa tecnologia è in grado di fornirci.
L'unico svantaggio, se si vuole rimanere su costi accettabili per un astrofilo, rimane la dimensione: un buon sensore CCD, infatti, occupa un'area pari a circa 1/5 rispetto ad una normale pellicola 24x36mm. I numerosi vantaggi, invece, sono i seguenti:
* Maggiore efficienza quantica: l'efficienza quantica è il rapporto tra il numero degli elettroni prodotti e il numero di fotoni incidenti. Le pellicole tradizionali registrano mediamente il 3-5% della luce che colpisce i sali d'argento. Le CCD possono anche superare il 90%, il che significa il raggiungimento delle stesse prestazioni con un tempo di posa infinitesimale rispetto ad una pellicola.
* Perfetta linearità: tutte le pellicole fotografiche soffrono del difetto di reciprocità, ossia della perdita di sensibilità al crescere dell'esposizione. Le CCD, invece, sono quasi perfettamente lineari, con un errore medio dello 0,1%: in pratica significa che se espongo per un secondo avrò ad esempio un valore 1, se espongo per 100 secondi avrò un valore 100 +/- 0.1%, e così via...
* Elevata dinamica:le pellicole in B/N in genere presentano circa 40 toni di grigio, mentre le CCD hanno valori di diverse migliaia, in relazione al convertitore A/D usato.
* Elevata risposta spettrale: le pellicole in genere sono sensibili all'interno di un ridotto campo spettrale (che varia dai 400 ai 750 nanometri), mentre le CCD hanno sensibilità che sconfinano nel vicino ultravioletto e nel vicino infrarosso, a lunghezze d'onda comprese tra i 300 e i 1100 nanometri. Tuttavia ogni CCD raggiunge il suo picco di efficienza quantica ad una determinata lunghezza d'onda. Misurando la sua sensibilità alle varie lunghezze d'onda si costruisce la curva di sensibilità spettrale, che varia da sensore a sensore.
* Maggiore risoluzione: se escludiamo pellicole insuperabili quali la Kodak Technical Pan (oramai non più prodotta), in genere le CCD hanno una risoluzione spaziale maggiore di qualsiasi pellicola, dato che la maggior parte dei pixel delle camere CCD sono più piccoli dei grani d'argento delle pellicole.
* Relativa economicità: un esperto astroimager che usa ancora pellicole spende cifre considerevoli in sviluppi, fissaggi e attrezzature varie, mentre un astrofilo che usa un CCD non spende praticamente nulla (se escludiamo ovviamente il costo della camera stessa e se diamo per scontato l'abituale uso di un PC).
* Immediata visione del risultato: usando la pellicola ci si accorge soltanto in fase di sviluppo e stampa se ci sono stati errori quali cattivo inseguimento, messa a fuoco difettosa, sottoesposizione, ecc... Usando un CCD ci si rende conto in tempo reale di ogni difetto. Si cancella l'immagine e se ne acquisisce una migliore correggendo l'errore.
* Possibilità di elaborazione: un programma di elaborazione è di fatto una camera oscura virtuale, tramite la quale l'osservatore riesce a modificare l'immagine a proprio piacimento, migliorandone la qualità ed evidenziandone i dettagli più deboli.
I risultati che si possono ottenere con una CCD sono stupefacenti, ma non bisogna pensare che questi arrivino da soli. Vi sono molti luoghi comuni che dipingono le CCD come strumenti perfetti e facili da usare; in realtà vi è un ben preciso lavoro da svolgere affinché le immagini si possano considerare buone (e soprattutto usabili) sotto tutti i punti di vista.
Inoltre bisognerebbe conoscere alcuni principi generali che spaziano dall'informatica (per usare software e PC), alla matematica (per ottimizzare l'accoppiata telescopio/CCD nel migliore dei modi), all'ottica, ecc... Ma niente paura! Le doti più importanti che un buon osservatore deve possedere sono pazienza, costanza ed applicazione: e queste, a chi è appassionato, non mancano di certo.

CONCETTI CHIAVE

Un sensore CCD è utilissimo per ogni attività di ricerca: possiamo infatti riprendere immagini solari, lunari, planetarie, di oggetti del profondo cielo, di comete ed asteroidi, si possono fare attività di ricerca supernovae extragalattiche, fotometria, astrometria, ecc...
Innanzitutto, per ottenere i migliori risultati, è opportuno decidere di volta in volta la configurazione ottica da adoperare per disporre di un campo e di una risoluzione ottimale. Per ottenere ciò è necessario avere ben chiari 3 concetti: potere risolutivo del telescopio, seeing e campionamento.

Potere risolutivo: è legato alle leggi dell'ottica (in particolare alla legge sulla diffrazione) e dipende essenzialmente dal diametro dell'obiettivo. Ogni telescopio ha un limite di diffrazione che diminuisce all'aumentare del diametro della lente o dello specchio. Un telescopio da 20 cm di diametro ha un potere risolutivo teorico di 0,6", cioè il minimo dettaglio registrabile con quel telescopio sarà pari a 0,6 secondi d'arco, mentre un telescopio da 60 cm ha un potere risolutivo di 0,3". Di contro, il potere risolutivo dell'occhio umano è pari a circa 60 secondi d'arco.

Seeing: il potere risolutivo del telescopio può essere raggiunto solo nello spazio, al di fuori quindi dell'atmosfera terrestre. Infatti in pochi posti al mondo il seeing scende al di sotto di 1 secondo d'arco, quindi qualsiasi telescopio più grande di 15-20 cm non verrà mai sfruttato appieno, se non tramite costosissime ed elaborate tecniche, chiamate ottica attiva ed adattiva, impensabili per la stragrande maggioranza degli osservatori. Un seeing tipico si aggira attorno ai 3 secondi d'arco.

Campionamento: mentre i due concetti precedenti sono abbastanza semplici e intuibili, il concetto di campionamento va analizzato con cura ed attenzione. Quando si esegue una posa con un sensore CCD, dobbiamo cercare di riprodurre un segnale luminoso continuo tramite un rivelatore che per sua natura è discontinuo (ossia formato da una griglia di pixel uniti tra loro): bisogna cioè considerare che potremmo perdere alcune informazioni se non utilizziamo correttamente il sistema telescopio/CCD, ossia se non utilizziamo una focale adeguata. Esiste tuttavia un criterio, chiamato criterio di campionamento, enunciato dal matematico Nyquist, secondo il quale per ricostruire fedelmente l'immagine bisogna eseguire un numero determinato di campionamenti, ed il più piccolo dettaglio visibile deve essere registrato da due pixel.
Se la focale del telescopio è inferiore a quella di campionamento (questo avviene nella maggior parte dei casi), si parla di immagine sottocampionata: il potere risolutivo dell'accoppiata telescopio/CCD non viene sfruttato appieno.
Al contrario, se la focale utilizzata è maggiore di quella ottimale, l'immagine risulterà sovracampionata. In genere non si sovracampiona mai un'immagine, tranne nei rari casi in cui vi sia, all'interno del sensore, una griglia anti-blooming che ne riduca la sensibilità (ma di questo si parlerà in seguito) oppure per immagini planetarie se il seeing lo consente. Quando si riprendono oggetti del profondo cielo, dove le pose sono lunghe e la turbolenza si manifesta maggiormente, è opportuno sottocampionare, al fine di non rilevare il seeing. Qualora la focale e quindi la risoluzione siano eccessive, si può sottocampionare procedendo in due modi: o utilizzando dei riduttori di focale (che diminuendo la focale aumentino il campo inquadrato e quindi anche la scala d'immagine) oppure ricorrendo ad una speciale tecnica software, chiamata binning. Questo sistema consente di accoppiare tra loro più pixel allo scopo di creare un "superpixel" di dimensioni maggiori, aumentando la scala d'immagine a scapito di una minore risoluzione.

Una volta scelta l'opportuna configurazione ottica, si può dare inizio all'osservazione.
Va ricordato che quando si applica al posto dell'oculare una camera CCD, si lavora praticamente alla cieca, salvo in rari casi. A peggiorare le cose vi è la piccola dimensione del sensore, che obbliga l'osservatore ad un'alta precisione di puntamento (tranne nei casi di focale molto ridotta o sensori dalle notevoli dimensioni). Basti pensare che, ad esempio, una CCD economica applicata ad un comune 20cm f/10, inquadra un campo di circa 8' x 6', che è il campo che si otterrebbe, in visuale, con un oculare da 400 ingrandimenti!
Bisognerebbe quindi avere una montatura motorizzata che permetta puntamenti automatici piuttosto precisi oppure, se ciò non fosse possibile, dotarsi di un pratico accessorio chiamato flip-mirror, un dispositivo reflex da montare prima della camera che permette alla luce, tramite uno specchietto piano ribaltabile, di essere deviata all'interno di un oculare, dove l'osservatore può controllare l'area di cielo inquadrata.
Una volta puntata l'oggetto, prima della posa è necessario effettuare qualche operazione pratica.
Innanzitutto, la messa a fuoco, critica per qualsiasi telescopio. I sistemi di fuocheggiatura dei telescopi tradizionali sono essenzialmente due: Crayford a pignone e cremagliera (avanzamento dell'oculare o della CCD) oppure movimento dello specchio primario. In entrambi i casi la precisione di messa a fuoco deve essere dell'ordine dei decimi di millimetro. Infatti ogni telescopio ha una propria zona di fuoco critica (ZFC), che indica l'escursione massima all'interno della quale si ha la messa a fuoco perfetta. La formula è la seguente: ZFC = [2.2*(f*f)], dove f è il rapporto focale dello strumento utilizzato. Ne consegue che minore è il rapporto focale, minore sarà la ZFC.
Esistono in generale due metodi per la messa a fuoco precisa di uno strumento: tramite maschera di Hartmann oppure tramite il metodo della diffrazione stellare.
Il primo metodo, il più usato, consiste nell'applicare davanti all'apertura dello strumento una speciale maschera che possiede due o tre fori equidistanti tra loro e dal centro. In questo modo, se la stella è sfuocata, se ne vedranno due o tre immagini separate. Solo quando quet'ultime saranno unite a formarne una sola, l'immagine si può definire a fuoco.
Il secondo metodo, meno conosciuto ma altrettanto efficace, consiste nell'applicare davanti all'apertura dello strumento una maschera che possieda una coppia di strisce parallele equidistanti tra loro e dal centro. Questo sistema sfrutta il fenomeno ottico che si crea quando si posizionano uno o più oggetti allungati davanti al telescopio: essi creano un effetto di diffrazione, visibile mediante baffi luminosi che fuoriescono dall'immagine stellare. Se la stella è sfuocata, vi saranno due distinti baffi, che diventeranno uno solo quando la stella sarà perfettamente a fuoco.
Una volta effettuate queste operazioni, la posa può iniziare.
Anche le camere CCD, così come le comuni macchine reflex, possiedono un otturatore, che può essere meccanico oppure elettronico. Gli otturatori meccanici hanno il pregio di essere molto precisi, a scapito però del costo. Gli otturatori elettronici, tuttavia, consentono in genere esposizioni più brevi, anche dell'ordine di un centesimo di secondo. Se abbiamo puntato oggetti luminosi come il Sole, la Luna o i pianeti maggiori, non abbiamo bisogno di una guida accurata; se invece vogliamo realizzare belle immagini di galassie, nebulose o ammassi stellari, il cui tempo di posa deve necessariamente essere lungo, abbiamo bisogno di guidare la posa. Esistono due metodi per guidare: tramite guida fuori asse oppure tramite un telescopio separato montato in parallelo.
La guida fuori asse è uno speciale raccordo dotato di un piccolo prisma che cattura una minuscola porzione del fascio di luce fuori asse, dirigendola verso un oculare con un reticolo illuminato. Per chi possiede un telescopio newtoniano oppure un rifrattore, è più conveniente usare un telescopio separato montato in parallelo allo strumento principale.
Tuttavia, per ovviare a questi inconvenienti esistono in commercio camere CCD dotate di un'autoguida interna alla camera stessa, come ad esempio le nostre SBIG ST10-XME e SBIG ST8-XME.
Una volta che la guida è stata tarata, dobbiamo solamente esporre la CCD per un determinato periodo di tempo. La regola generale è che maggiore è il tempo di posa, migliore risulterà l'immagine. L'importante è non saturare i dettagli più luminosi. E' indifferente l'utilizzo di una sola lunga posa (ben guidata) oppure la somma di tante di durata inferiore.
Una volta terminata l'esposizione, l'immagine ci appare sullo schermo. Anche se qualcuno si potrebbe già accontentare della sua qualità, a ben vedere vi sono una serie di difetti che devono essere corretti: l'immagine appare piena di piccoli puntini luminosi (che occupano esattamente le dimensioni di un pixel), vi sono delle macchie o degli aloni, il centro è più chiaro che ai bordi, ecc...
Per eliminare tutti questi difetti è necessario riprendere delle immagini ausiliarie di correzione, che sono fondamentalmente due: il Dark Frame ed il Flat Field. Analizziamoli brevemente. Il sensore, a causa dell'agitazione termica degli atomi di silicio di cui è composto, tende a produrre e ad accumulare spontaneamente elettroni anche al buio assoluto, saturandosi dopo un determinato periodo di tempo. Questa corrente termica si chiama Dark Current, e può essere sottratta dall'immagine originale eseguendo il Dark Frame, ossia una posa di durata identica a quella dell'immagine originale, badando però che la temperatura sia la stessa nelle due riprese. Infatti il dark current, alle stesse condizioni di esposizione e di temperatura, è perfettamente riproducibile, e quindi può essere sottratto tranquillamente. Il rumore termico è quindi strettamente legato alla temperatura del sensore: ogni volta che quest'ultima viene abbassata di circa 6-7°C, il rumore si dimezza. E' per questo che le CCD vengono raffreddate termoelettricamente mediante delle pompe di calore chiamate "celle di Peltier", alle quali il sensore viene montato.
Fornendo corrente, una delle due facce del dispositivo (quella dove risiede il sensore) si raffredda, mentre l'altra si riscalda. Il calore viene poi espulso tramite alette dissipatrici o tramite ventole. In alcuni sensori il raffreddamento è composto da celle a doppio stadio (la faccia calda della prima piastra viene posta a contatto con la faccia fredda della seconda), al fine di incrementare l'efficienza del sistema di raffreddamento.
In genere le temperature minime raggiungibili dipendono dalla temperatura ambiente, e la qualità del sistema di raffreddamento si riconosce dalla stabilità della temperatura di esercizio, una volta raggiunta. In genere, comuni celle di Peltier riescono a fornire al sensore CCD una temperatura di circa 30°C inferiore rispetto a quella ambiente.
Nei sensori professionali, invece, per eliminare praticamente del tutto la dark current, si raffredda il chip tramite azoto liquido ad una temperatura di circa -170°C.
Altro intervento necessario è l'operazione di Flat Field, che serve ad eliminare tutti i difetti intrinsechi del sistema telescopio-CCD. Questa è un'operazione fondamentale per chiunque voglia eseguire buone immagini degli oggetti celesti.
Un'immagine che entra nel sistema ottico, infatti, viene in qualche modo disturbata dalla presenza di polvere, macchie, diversa sensibilità dei pixel o pixel rovinati, e irregolarità ottiche (in particolare la vignettatura, ossia la differenza di illuminazione tra il centro e i bordi). La correzione avviene riprendendo un soggetto uniformemente illuminato (come il cielo al crepuscolo oppure una superficie bianca) per un determinato tempo di posa, in maniera tale da raggiungere circa il 50% della dinamica del sensore stesso.
Tuttavia l'operazione non è terminata qui. Essendo il flat field stesso un'immagine, essa andrà trattata come tutte le altre: andrà pertanto sottratto anche il suo dark frame.
Una volta riprese tutte queste immagini ausiliarie e tolte all'immagine originale, si potranno elaborare definitivamente tutte le immagini (somma di pose, regolazione contrasto e luminosità, maschera sfuocata, filtri di contrasto, algoritmi di elaborazione, ecc...).
Tuttavia alcune camere CCD hanno "difetti" che non si possono eliminare: uno di essi è il blooming. Abbiamo detto che il CCD è una matrice di n x n pixel. Ogni pixel lo possiamo paragonare ad un secchio di raccolta, e può pertanto contenere un numero limitato di elettroni (questa capacità è chiamata Full Well Capacity); quando un pixel ha raggiunto la saturazione disperde gli elettroni in eccesso ai pixel adiacenti, preferenzialmente lungo le colonne, creando la cascata di luce che prende il nome di blooming.
L'unica maniera per eliminarlo è costruire sensori che possiedano appositi canali anti-blooming tra le righe dei pixel, anche se in questo modo si riduce drasticamente la sensibilità e a volte la linearità del CCD stesso, aumentando il rumore delle immagini. Questi canali non sono null'altro che zone morte, dove i fotoni in eccesso possono accumularsi senza essere campionati.

FORMULE UTILI

* Range dinamico di un sensore: Full Well Capacity / Readout Noise
* Dimensione fisica di un'immagine, in byte: D = n° pixel (x) * n° pixel (y) * (n°bit convertitore A/D / 8)
* Campo inquadrato da un sensore CCD, in cui L è il lato del CCD ed F la focale equivalente utilizzata, entrambi in millimetri: Campo (') = L * (3437.75 / F)
* Formula inversa della precedente, che permette di conoscere la focale dello strumento a partire dal campo inquadrato da una CCD: F (mm) = 3437.75 / (C / L) dove C è il campo espresso in primi d'arco ed L è il lato del sensore in mm.
* Risoluzione lineare, in secondi d'arco per pixel, dove P è il lato di un pixel in micrometri ed F è la focale equivalente del telescopio in mm: R (") = P * (206,265 / F)