Le comete nella storia

di Fabio Pizzolato - Federica Luppi

Ben a ragione le comete si possono considerare "gli abitanti" del Sistema Solare più belli e difficili da osservare. Esse seguono sentieri nello spazio diversi da quelli dei pianeti, e il loro aspetto etereo ne ha celato a lungo la vera natura all’indagine umana. Quando, in tempi ancora relativamente recenti, non si conosceva nulla sulle comete, la loro inattesa comparsa era salutata con apprensione dagli uomini. Nell’immaginazione collettiva erano viste come ambasciatrici della Storia: la nascita di Cristo, l’invasione normanna dell’Inghilterra nel 1066, le terribili pestilenze che travagliarono l’Europa, la sconfitta di Napoleone nel 1812, erano annunciate dal silenzioso passaggio di una cometa.
Diverse furono le interpretazioni date sulla loro natura, ma tutte concordavano nel considerarle "castighi di Dio" o "messaggere del Diavolo".
Anche per gli uomini di scienza le comete rappresentarono a lungo un mistero. I pitagorici pensavano agli astri chiomati come a pianeti dotati di coda; sempre ai pianeti si rifacevano Anassagora e Democrito. Ma l'ipotesi che riscosse più successo e che si radicò per oltre duemila anni nell'opinione comune fu quella fornita da Aristotele. Secondo il "maestro di color che sanno", come lo chiama Dante nella Divina Commedia, le comete erano esalazioni della Terra che a contatto con gli strati alti dell'atmosfera si incendiavano, dando vita alla coda.
In seguito all'esauriente definizione del pensatore ellenico, nessuno si dedicò più allo studio di questi corpi, poichè si riteneva, a seguito di errori e pregiudizi, che tutto fosse ormai noto sulla loro natura.
Per duemila anni l'idea aristotelica non fu scalfita; quando in Europa, intorno al '500, si sviluppò la società dell'Umanesimo e del Rinascimento, si ricominciò finalmente a prestare attenzione alla ricerca scientifica e non ci si accontentava più delle vecchie teorie mai dimostrate.
I primi a gettare una nuova luce sulla natura delle comete furono il tedesco Petrus Apianus, l'italiano Girolamo Fracastoro e il danese Tycho Brahe.
I primi due scoprirono che le code delle comete sono sempre in direzione opposta al Sole, e questo cominciò a far supporre che in qualche modo questi astri fossero soggetti all'azione di elementi trans-lunari.
Sul finire del '500 Tycho Brahe mise alla prova questa teoria. Provò a misurare la parallasse di una cometa passata nel 1585, ossia la sua posizione apparente contro le stelle fisse osservata allo stesso momento da due città distanti. Non riuscendo a misurare alcuna parallasse, dedusse correttamente che la cometa era molto più lontana della luna, dimostrando così che si trattava di un oggetto celeste e non atmosferico, come sosteneva Aristotele.
Si fece così lentamente strada l'idea che le comete fossero corpi celesti in movimento nello spazio, e negli anni che seguirono si cominciò a studiare il loro moto nel Sistema Solare, ritenuto in un primo tempo circolare, poi rettilineo ed infine parabolico grazie a Sir Isaac Newton.
Con queste tecniche matematiche, Edmund Halley si accorse della estrema somiglianza dei percorsi di tre comete, apparse nel 1682, 1607 e 1531. Egli capì che non erano affatto tre comete diverse, ma una sola cometa che ripassava ogni 76 anni. Preannunciò il suo ritorno per il 1758, che si verificò puntualmente, solo per rendere omaggio alla memoria del povero Halley, ormai morto da sedici anni. Questa cometa, che a buon diritto è stata chiamata cometa di Halley, torna ancora periodicamente a farci visita, e il suo prossimo passaggio è previsto per il 2062.
Fu l'astronomo Fred Whipple a coniare, intorno alla metà del XX secolo, il termine più semplice ed efficace per descrivere le comete: "palle di neve sporca". E questa è la definizione che tutt'oggi viene comunemente utilizzata, pur non essendo comunque sufficientemente esauriente per descrivere la particolarità e la complessita di questi oggetti celesti.









 
 
 
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