Il favonio

a cura di Paolo Valisa

Non c'è montagna senza vento : siano brezze leggere che sollevano nuvole estive o gelide raffiche che modellano le creste. Ovunque si trovino sul pianeta, le cime hanno l'ardire di sondare il fluire dell'aria che in altitudine diviene più libero e inquieto. Continuamente il vento le attraversa, salendo da un versante, traboccando dai passi, incanalato nelle valli mentre scende sottovento.
Un vento in particolare stupisce più di tutti, quello che scende tiepido e secco dai monti verso la pianura, spazza le nuvole, in breve riporta l'azzurro e limpidi panorami che permettono di vedere la neve che ancora si solleva sulle creste in tempesta. Da noi, a Varese, in Canton Ticino, lo chiamiamo favonio.

Le correnti da NW che scendono dalle Alpi provocano onde orografiche, disegnate dalle nuvole (Altocumuli) lenticolari. Il giorno in cui è stata scattata questa fotografia, 22 gennaio 2012, la temperatura a Varese è risalita a 17° grazie al favonio (foto R. Cittadino).

L'etimologia è incerta. Il vento favonius dei Romani soffiava da ponente, favorevole alla navigazione, e non sembra potersi riferire a un fenomeno alpino. Piuttosto, da un altro verbo benevolo, fovere (“riscaldare”, “favorire”) potrebbe derivare fovonius, il volgare faonius e infine l'italiano favonio. Parallelamente fovonius diveniva phonne nel tedesco antico, che evolse in föhn nella lingua moderna.
I venti di föhn, come vengono genericamente chiamati nella letteratura scientifica, sono conosciuti in tutte le catene montuose del mondo. Il Puelche scende dalle Ande verso il Cile, mentre la Zonda investe l'Argentina. La Santa Ana soffia da Est sulla California meridionale, ed è celebre in N-America il Chinook che prima di essere nome di un elicottero era (ed è) il fohn delle che dall'Ovest scende dalle montagne rocciose.
Numerose sono le montagne, ma l'alpinismo è nato sulle Alpi. Altrettanti i venti che attraversano le montagne, ma il primo ad attirare l'attenzione scientifica è stato il föhn. E in particolare quello austriaco, che trasforma lo scirocco umido e mite proveniente dal Mediterraneo nel vento tiepido e secco che divora la neve nella valle di Innsbruck.
Per spiegare l'insolito calore del vento, l'ipotesi più naturale, e difatti avanzata dai geologi già alla fine dell'800, era di supporre che le correnti arrivassero dal Sahara e conducessero il calore del deserto. Purtroppo ben presto gli esploratori riferirono che i venti di föhn si creavano anche in luoghi ben lontani dai deserti, come la Groenlandia, e l'ipotesi venne abbandonata.
Nel 1901, il meteorologo austriaco Julius von Hann (1839-1921) pubblica un libro di testo di meteorologia (“Lehrbuch der meteorologie”) che contiene un capitolo dedicato al föhn in cui si trova la prima spiegazione corretta e moderna del fenomeno.
Per seguire il suo ragionamento, occorre munirsi di qualche semplice nozione di termodinamica dei gas, come l'aria. La pressione dell'aria diminuisce con l'altezza e attorno ai 5000 metri diventa la metà di quella a livello del mare. Se immaginiamo di isolare un volume di aria in prossimità del suolo, come dentro un palloncino, e lo solleviamo, la pressione via via più bassa lo farà espandere senza che possa esserci un apprezzabile scambio di calore con l'ambiente circostante. Nel linguaggio della termodinamica si tratta di una “espansione adiabatica” e produce in atmosfera un raffreddamento di 1°C ogni 100 metri di innalzamento. E' un processo reversibile, poiché un abbassamento della massa d'aria porterà una compressione ed un riscaldamento, sempre pari a 1°C ogni 100 metri. Una compressione adiabatica si verifica quando il vento addossa una massa d'aria lungo una barriera montuosa. La parte che supera le creste discende sottovento riscaldandosi di 1°C ogni 100 metri, giungendo infine come föhn fino in pianura, dove il riscaldamento totale risulta di ben 25°C per un dislivello tipico di 2500 m. Se la stratificazione originaria, come spesso accade in inverno, era di 0.3°C/100 metri, il guadagno netto di temperatura è (1°C-0,3°C)=0,7°C ogni 100 metri, ovvero 17.5° per un dislivello di 2500m.

I due meccanismi del favonio. A) discesa adiabatica di aria in quota. B) Svalicamento di aria umida attraverso una barriera montuosa con formazione del muro del favonio.
I due meccanismi del favonio. A) discesa adiabatica di aria in quota. B) Svalicamento di aria umida attraverso una barriera montuosa con formazione del muro del favonio. Il riscaldamento dell'aria in quest'ultimo caso è dovuto alla differenza tra adiabatica umida e secca. (disegno P. Valisa).

In estate, a causa del forte riscaldamento del suolo in pianura, la temperatura diminuisce più rapidamente con la quota e il gradiente termico si avvicina a 0,7°C. Pertanto il riscaldamento portato dai venti di föhn è assai minore. Dopo una prima fase in cui scende l'aria dalle più alte quote, anche l'aria a quote inferiori valica la barriera alpina, il guadagno termico diminuisce ed anzi se l'aria di partenza era particolarmente fredda (origine polare) ci puo' essere un calo di temperature.
Se invece la massa d'aria che si solleva sopravvento al rilievo è ricca di umidità si puo' aggiungere una seconda causa di riscaldamento del föhn. Mentre l'aria umida guadagna quota, avviene la condensazione dell'umidità dell'aria con formazione di nubi e piogge per sbarramento. La trasformazione del vapore in acqua e ghiaccio libera il calore latente del cambio di stato che mitiga il calo termico dell'aria ascendente. La formazione di 1 grammo di goccioline di pioggia in un metro cubo di aria ne aumenta infatti la temperatura di ben 2.3°C e la trasformazione adiabatica umida ha così un gradiente termico ridotto, pari a circa 6°C ogni 1000m.
Il calcolo del riscaldamento complessivo in questo caso risulta (1°C-0.6°C) ogni 100 m, assumendo che la condensazione avvenga durante tutto il dislivello in salita e che la temperatura al suolo sia uguale su entrambi i versanti.

Muro del favonio osservato da vicino in alta Val di Mello. Le nuvole in arrivo dalla val Bregaglia si arrestano lungo lo spartiacque, dove cessa il cammino ascendente. (foto P. Valisa).

Quando il föhn si accompagna allo sbarramento, l'effetto può essere spettacolare, con formazione del cosiddetto “muro del favonio”: nuvole compatte addossate sul versante sopravvento fino alla cresta spartiacque e cieli limpidi appena oltre, dove l'aria discendente sottovento si riscalda adiabaticamente e le nubi si riassorbono in vapore.
Julius Von Hann comprese assai bene che il föhn puo' esistere anche senza precipitazioni sopravvento, ma i suoi successori (e ancora in taluni testi di meteorologia generale dei nostri giorni) hanno preferito attribuire il riscaldamento del föhn al solo calore latente ceduto dalle piogge sul versante di sbarramento, come proposto da Ludwig Von Flicker, un altro meteorologo austriaco, nel 1943. Per una beffa del destino, persino nella quinta edizione “completamente riveduta” del “Lehrbuch der meteorologie”, pubblicata nel 1951 a 30 anni dalla morte del suo autore, nel capitolo sul föhn, il revisore adottò la sola spiegazione del calore latente.
La modellizzazione numerica dell'atmosfera negli ultimi 2 decenni ha finalmente dato ragione a Von Hann riconoscendo, nella complessa interazione del vento con le montagne, la presenza di entrambi i “tipi” di föhn. Quale che sia la sua origine a monte, una caratteristica peculiare del favonio a valle è la bassissima umidità, talvolta inferiore al 10%, causata dall'aumento di temperatura. Il gran secco accentua l'isolamento elettrico dell'aria. L'elettricità statica si accumula allora sui capelli e sul pelo degli animali ed è facile “prendere la scossa” per contatto. I meteoropatici riportano ogni sorta di disturbi per il repentino cambiamento di temperatura, pressione e umidità: spossatezza, ansia, respiro corto, nevralgie, peggioramento delle sindromi depressive, cefalea, disidratazione e persino un aumento degli infarti e degli incidenti stradali. Comunque bisogna farsene una ragione. In area prealpina il favonio è piuttosto frequente. A Varese mediamente soffia 13 giorni in inverno, 15 in primavera, 7 in estate e 10 in autunno. La maggior frequenza è in marzo.



Nella serata del giorno 9 Ottobre 2011 il cielo è sereno con vento da Nord. Da Campo dei Fiori si possono osservare le nuvole sbarrate dall'arco alpino (muro del favonio), illuminate dalla luna piena (filmato time-lapse di Andrea Aletti - Osservatorio Astronomico di Campo dei Fiori).

Climatologia del favonio a Varese

a cura di Paolo Valisa

Al fine di studiare l'incidenza oraria e stagionale del favonio, utilizzando i dati meteorologici raccolti ogni 10 minuti a Varese e Campo dei Fiori dal 1992, sono stati stabiliti dei criteri automatici di ricerca delle condizioni di favonio.
I dettagli si possono trovare su una tesina di alternanza scuola lavoro effettuata presso il CGP da due studenti del liceo scientifico G.Ferraris di Varese nel 2018 sotto la guida di Paolo Valisa.
Perchè si verifichino condizioni di favonio devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:
1) Vento a Campo dei Fiori proveniente da Nord (azimuth compreso tra 320° e 20°) e con velocità superiore a 4 m/sec
2) Vento a Varese proveniente da Nord (azimuth compreso tra 320° e 20°) con velocità media >2 m/sec e raffica >3 m/sec
3) Umidità relativa a Varese inferiore a 45%
4) La temperatura di Varese CGP deve superare di almeno 5.5°C la temperatura di Campo dei Fiori (la differenza di temperatura dovrebbe rigorosamente essere di 8°C in caso di compressione adiabatica per una differenza di quota di 800m, ma è ammessa una tolleranza per mescolamento turbolento della massa d'aria).
Viene inoltre definita una condizione di trend di favonio in cui sono soddisfatte le condizioni 1), 3), 4) ma il vento a Varese è più debole di 2 m/sec. Questa situazione solitamente segue un episodio di favonio e segnala la presenza di una massa d'aria favonica che non è stata ancora alterata da avvezioni successive o interazioni con lo strato limite.

La media delle ore di favonio annuali a Varese risulta 280 mentre le ore di trend di favonio sono 276. Il grafico sotto riporta la somma di ore di favonio+trend degli ultimi 25 anni.

Numero di ore di favonio+trend di favonio annuali a Varese CGP. In media il favonio soffia per 280 ore/anno mentre il media in 276 ore/anno si verificano condizioni favoniche con vento più debole della soglia di 2 m/sec(trend di favonio).

Il mese che mediamente ha il maggior numero di ore di favonio è marzo (43 h favonio+42 h trend) , seguito da febbraio e aprile. Il mese con maggior frequenza di favonio è stato marzo 2008 con ben 203 ore (quasi 8 giorni e mezzo).

Dipendenza mensile del favonio. La maggior frequenza del vento da Nord è nei mesi primaverili da febbraio a maggio.

Esiste anche una dipendenza oraria del favonio, determinata dalla presenza di inversioni termiche notturne. La scarsità di eventi di favonio nelle prime ore del mattino evidenzia proprio la difficoltà del vento di erodere lo strato di aria fredda, e quindi più pesante, formatosi in prossimità del suolo durante una notte serena. L'effetto è più pronunciato per venti deboli. Analogamente in serata, un favonio sostenuto impedisce il riformarsi dell'inversione termica ma un vento debole non vi riesce e quindi sovrascorre all'inversione con cessazione delle condizioni favoniche al suolo.

Dipendenza oraria del favonio. Durante le ore notturne la formazione di uno strato di aria fredda al suolo può impedire al vento più mite di favonio di raggiungere la stazione di misura a Varese.

Esempi notevoli di favonio nel Varesotto

a cura di Paolo Valisa

22-23 ottobre 2014 ,
10 gennaio 2015 ,
24 ottobre 2018 ,
dicembre 2018 e gennaio 2019 ,



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